Nel vasto panorama del web, esistono siti che non solo violano la privacy individuale, ma mettono a rischio la dignità umana. Uno dei casi più emblematici è quello di Phica, una piattaforma che, sin dal 2011, è stata oggetto di segnalazioni per la pubblicazione di contenuti non consensuali, spesso a sfondo sessuale, e vietati ai minori. Nonostante le denunce, le petizioni e gli interventi delle autorità, il sito continua a riemergere sotto domini alternativi, sfuggendo ai controlli e alle chiusure ufficiali.

Una lunga storia di abusi digitali:
Phica.net nasce come sito amatoriale, ma nel tempo si trasforma in un archivio oscuro di immagini rubate, manipolate e diffuse senza alcun consenso. Le vittime sono spesso donne comuni, ma anche figure pubbliche come Giorgia Meloni, Elly Schlein, Lucia Azzolina e altre personalità del mondo politico e dello spettacolo. Il sito ha adottato pratiche estorsive, chiedendo denaro per la rimozione dei contenuti, e ha alimentato una cultura digitale tossica basata sulla violazione della privacy.
Nel corso degli anni, il dominio principale è stato chiuso più volte, ma ogni volta è riapparso sotto nuove forme: Phica.eu, webcam.phica.net, e altri sottodomini che mantengono la stessa struttura e finalità. Questo comportamento dimostra una strategia ben precisa: decentralizzazione, anonimato e resilienza.
Il ruolo degli ethical hacker:
Gli hacker etici, o white hat, hanno svolto un ruolo fondamentale nel monitorare e denunciare le attività del sito. Attraverso tecniche OSINT (Open Source Intelligence), analisi DNS, reverse engineering e tracciamento dei flussi di traffico, sono riusciti a mappare la rete di domini collegati a Phica e a identificare le entità che ne permettono la sopravvivenza.
Le indagini hanno rivelato legami con società estere, come Hydra Group Eood, registrata in Bulgaria, che sembrerebbe avere un ruolo nella gestione tecnica del sito. Inoltre, sono stati individuati server collocati in paesi con legislazioni permissive, che rendono difficile l’intervento delle autorità italiane o europee.
“Phica non è solo un sito: è un sistema distribuito, progettato per resistere alla chiusura e all’identificazione. La sua persistenza è una sfida diretta alla giustizia digitale,” afferma un analista OSINT coinvolto nel monitoraggio.

La sfida della regolamentazione
Il caso Phica evidenzia le lacune nella regolamentazione internazionale del web. Mentre le piattaforme sociali e i motori di ricerca adottano politiche sempre più rigide contro la diffusione di contenuti illeciti, siti come Phica sfruttano le zone grigie della rete per continuare a operare. Le segnalazioni, per quanto numerose, spesso si scontrano con limiti tecnici, giuridici e burocratici.
In Italia, diverse associazioni e attivisti hanno chiesto l’intervento del Garante della Privacy e della Polizia Postale, ma la natura transnazionale del sito complica ogni tentativo di chiusura definitiva.
Cosa possiamo fare?
Come ethical hacker e cittadini digitali, abbiamo il dovere di agire:
- Segnalare ogni contenuto sospetto alle autorità competenti e ai provider.
- Educare gli utenti sull’importanza della privacy e sui rischi della condivisione non consapevole.
- Sostenere le vittime e promuovere una cultura digitale basata sul rispetto e sulla responsabilità.
La battaglia contro Phica non è solo tecnica: è etica. È una lotta per difendere la dignità delle persone in un mondo sempre più interconnesso, dove la tecnologia può essere strumento di libertà o di oppressione.

